martedì 13 novembre 2012

Schizzi di racconti o racconti schizzati n°1

Sul primo numero di Schizzi di racconti o racconti schizzati (la presentazione della rubrica al post precedente), inserisco il racconto La notte dei Primogeniti.
Scrissi questo racconto per un laboratorio di scrittura creativa (vedi sempre post precedente), potete trovarne una versione commentata su Skan Magazine n°1.
Qui posto la versione revisionata grazie agli utili commenti degli altri concorrenti che, ovviamente, ringrazio.

Buona Lettura, o buone risate, o buona dormita, quello che vi pare. Fa lo stesso.

La notte dei primogeniti

Caldo. Fa caldo. Apro gli occhi: attorno a me un deserto di soffice sabbia dorata, su cui si infrange un mare rosso sangue, denso, intenso, come il cielo al tramonto.
I colori sono bellissimi, saturi, mi avvolgono e mi riscaldano.
Una piccola rana verde si posa sul palmo della mia giovane mano. I suoi occhi, rossi e caldi come l'aria che ci avvolge, m' ipnotizzano.
Alzo lo sguardo, un'altra è ai miei piedi. Altre cinque, dieci, cento, mille arrivano dal mare.
Scappo. Corro, ma come negli incubi sento le gambe deboli e fiacche; gli occhi si chiudono mentre affondo nella sabbia.
Con uno sforzo disumano riesco a rialzarmi.
Attorno a me cresce un ronzio insopportabile che mi fa impazzire. Mi sento pungere, mi divincolo con tutte le forze. Grido e mi accuccio in me stesso.
Una lunga via ora si estende davanti a me: è familiare, la conosco senza riconoscerla.
M'incammino intimorito. Fa freddo, il cielo è plumbeo, abbraccia la nebbia che mi circonda, negandomi la vista a oltre pochi metri dal mio corpo.
Non so per quanto cammino. Ore, giorni, mesi, anni. La pelle delle mie mani, l'unica che riesco a vedere, invecchia e si raggrinzisce.
Dalla nebbia fuoriescono animali: capre, pecore, mucche, asini, cavalli, cani, gatti. Camminano spenti, non hanno né occhi né pelle. La carne viva viene divorata da enormi cavallette e viscide mosche nere. Ho paura, ho freddo.
Persone simili a me, ma diverse, vestite ora di stracci, ora di sete pregiate, ora armate di spade, ora di falci e martelli, si sostituiscono agli animali, nella stessa processione di morte. Chi siete?
Le chiamo, ma non rispondono. Mi sfiorano, mi colpiscono, ma non si voltano e una volta che mi passano affianco cadono a terra, muoiono e io non posso far nulla per aiutarle. Piango.
La nebbia inizia a diradarsi, il cielo cambia colore: da grigio si vela di nero. In lontananza appaiono le luci, le sgargianti luminarie della mia città.
La riconosco. Ora so chi sono, lo ricordo, o almeno credo.
I miei passi si confondono tra migliaia di scarpe.
I miei occhi si perdono tra gli sguardi dei miei simili
I miei arti si scontrano, si toccano, si sfiorano con gli altri: pelle su pelle, sudore.
Un tocco inebriante, dolce e vigoroso allo stesso tempo.
La notte ci avvolge tutti. Le tenebre aleggiano sopra la mia città.
Guardo i chiassosi locali inghiottire le persone, centrifugarle e vomitarle per le strade buie. Centinaia di ragazze mi osservano da dietro un vetro, mi sorridono, sono bellissime. Ricambio il sorriso, ammaliato dalle vertiginose curve e dalla profondità dei loro occhi azzurri, nei quali mi tuffo come in un mare fresco e incontaminato.
Sono euforico. Attorno a me le tenebre continuano ad avvolgere la città e i suoi figli, ma non mi importa. Voglio vivere la mia Sodoma, voglio possedere la mia Gomorra.
Arrivo in una grande piazza, gremita di persone che si abbracciano, si baciano, si muovono al ritmo di magnifiche note musicali.
Un gruppo di ragazzi, maschi e femmine, miei simili, gente come me, mi prende per mano, ci riconosciamo tra noi, ci vogliamo bene, ci facciamo compagnia, non ci lasciamo mai soli.
Balliamo una musica dolce e inebriante.
Il cielo nero ora si illumina di immensi lampi colorati, esplosivi e violenti. Ho paura.
Scappo e mi nascondo, ma la curiosità è più forte e continuo a osservare, nascondendo la testa a ogni boato.
Nella piazza scorrono fiumi di un nettare divino, seguo il potente profumo che fuoriesce dalle bocche delle bottiglie e delle persone.
Alzo lo sguardo verso un grande palazzo, illuminato come la più splendida giornata di sole. Mi augura di passare un anno di felicità. Solo uno mi chiedo io?
Una voce mi attira.
Passo dentro un vicolo buio, nero, dove non riesco a vedere nemmeno il palmo delle mie mani.
Sbuco su una piccola piazza, chiusa tra stretti vicoli i cui palazzi si innalzano sino al cielo, chiudendosi su loro stessi, aumentando le tenebre.
Una grande chiesa dalla facciata spartana si innalza di fronte a me. L'occhio del rosone pare volermi ammonire, mi fissa grottescamente. Ho ancora paura.
Una voce imponente richiama la mia attenzione. E' un giovane parroco il cui timbro vocale contrasta apertamente con la sua stazza.
Lo osservo, lo fisso. Solo lui nel mio raggio visivo, tutt'attorno le tenebre, il nero, il buio.
  • Chi sei? Gli chiedo.
  • Sono il tuo pastore. Mi risponde.
  • Non ho bisogno di te, è la notte la mia guida.
  • La notte è la tua piaga, chi sei tu, figliolo?
  • Io sono me stesso.
  • Chi è te stesso?
  • E' la persona che vedi.
  • Non vedo nessuna persona.
Non so rispondere. Grido. Io sono me stesso, perchè lui non lo vede? Non vede il mio corpo, i miei occhi, le mie gambe, i miei capelli, la mia pelle, il mio sudore, le mie emozioni, i miei sentimenti?
  • Perché non mi vedi? Gli grido.
  • Io ti vedo, tu vedi te stesso? Mi risponde.
  • E' la notte che vede me.
  • Sono le tenebre che ti vedono, che ti vogliono, che ti avvolgono, che ti rubano. Io sono qui, posso guidarti fuori.
  • Sono i miei occhi che mi guideranno, sono le luci di questa città. E poi arriverà l'alba, il sole, la luce e saremo tutti liberi.
Ci fissiamo per interminabili minuti, il suo sguardo è triste ma forte. Mi ammonisce ma mi accoglie allo stesso tempo. Le sue labbra si muovono e le seguo incantato.
  • Figliolo, questa città non vedrà più la luce. La tua gente non vedrà più il sole.
Grido forte, mi colpisco la testa, piango.
Riprendo a correre ma nuovamente, come nei peggiori incubi, sento le gambe mancare, cado.
Mi pongo supino. Rido e piango allo stesso tempo. Ora ho capito.
  • Ti è piaciuto il viaggio?
E' il parroco. Il suo viso si pone tra i miei occhi e il cielo nero.
  • Ti è piaciuto? Mi ripete.
Rido sempre di più, mentre una lacrima solca il mio viso. Ora ho capito.
  • Si, mi è piaciuto tanto.
  • Sicuro che non dimentichi nulla?
  • I primogeniti.
Smetto di ridere, ma il sorriso non abbandona il mio viso. Sento la mia testa posarsi su un cuscino di dolci sogni e soffici pensieri che mi alleviano i dolori dell'anima.
Penso a mio padre, a mia madre e ai fratelli che non ho mai avuto....Bang!


Epilogo

All'ingresso di un vicolo buio del centro storico, un poliziotto stende i nastri gialli da muro a muro, mentre due paramedici cercano di rianimare un giovane ragazzo, sdraiato tra i cassonetti.
Ha gli occhi chiusi, il sorriso sulle labbra, la maglietta strappata.
Su entrambe le braccia la firma della sua sorte, indelebile, impressa come un marchio a fuoco.
  • E' morto. Ora del decesso, mezzanotte e cinquantanove.
  • Be, almeno ha vissuto abbastanza per vedere l'anno nuovo.
  • Già. Buon 2013 figliolo. Portiamolo via ora.
Il giovane parroco sosta all'ingresso del vicolo, osservando con sguardo rammaricato la scena.
  • Gli ha dato lei quella bibbia, padre? Chiese, avvicinandosi, il poliziotto.
  • Si. Ho pensato che la fede l'avrebbe aiutato a resistere sino al vostro arrivo. In fondo, portava pure lui un crocefisso al collo.
  • Padre, purtroppo la fede, da sola, non basta per abbattere questa piaga. La notte arriverà sempre, ciclicamente, assieme a ciò che porta via i ragazzi lasciati crescere soli, con essa.


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