Scrissi questo racconto per un laboratorio di scrittura creativa (vedi sempre post precedente), potete trovarne una versione commentata su Skan Magazine n°1.
Qui posto la versione revisionata grazie agli utili commenti degli altri concorrenti che, ovviamente, ringrazio.
Buona Lettura, o buone risate, o buona dormita, quello che vi pare. Fa lo stesso.
La notte dei primogeniti
Caldo. Fa caldo. Apro gli occhi:
attorno a me un deserto di soffice sabbia dorata, su cui si infrange
un mare rosso sangue, denso, intenso, come il cielo al tramonto.
I colori sono bellissimi, saturi, mi
avvolgono e mi riscaldano.
Una piccola rana verde si posa sul
palmo della mia giovane mano. I suoi occhi, rossi e caldi come l'aria
che ci avvolge, m' ipnotizzano.
Alzo lo sguardo, un'altra è ai miei
piedi. Altre cinque, dieci, cento, mille arrivano dal mare.
Scappo. Corro, ma come negli incubi
sento le gambe deboli e fiacche; gli occhi si chiudono mentre affondo
nella sabbia.
Con uno sforzo disumano riesco a
rialzarmi.
Attorno a me cresce un ronzio
insopportabile che mi fa impazzire. Mi sento pungere, mi divincolo
con tutte le forze. Grido e mi accuccio in me stesso.
Una lunga via ora si estende davanti a
me: è familiare, la conosco senza riconoscerla.
M'incammino intimorito. Fa freddo, il
cielo è plumbeo, abbraccia la nebbia che mi circonda, negandomi la
vista a oltre pochi metri dal mio corpo.
Non so per quanto cammino. Ore, giorni,
mesi, anni. La pelle delle mie mani, l'unica che riesco a vedere,
invecchia e si raggrinzisce.
Dalla nebbia fuoriescono animali:
capre, pecore, mucche, asini, cavalli, cani, gatti. Camminano spenti,
non hanno né occhi né pelle. La carne viva viene divorata da enormi
cavallette e viscide mosche nere. Ho paura, ho freddo.
Persone simili a me, ma diverse,
vestite ora di stracci, ora di sete pregiate, ora armate di spade,
ora di falci e martelli, si sostituiscono agli animali, nella stessa
processione di morte. Chi siete?
Le chiamo, ma non rispondono. Mi
sfiorano, mi colpiscono, ma non si voltano e una volta che mi passano
affianco cadono a terra, muoiono e io non posso far nulla per
aiutarle. Piango.
La nebbia inizia a diradarsi, il cielo
cambia colore: da grigio si vela di nero. In lontananza appaiono le
luci, le sgargianti luminarie della mia città.
La riconosco. Ora so chi sono, lo
ricordo, o almeno credo.
I miei passi si confondono tra migliaia
di scarpe.
I miei occhi si perdono tra gli sguardi
dei miei simili
I miei arti si scontrano, si toccano,
si sfiorano con gli altri: pelle su pelle, sudore.
Un tocco inebriante, dolce e vigoroso
allo stesso tempo.
La notte ci avvolge tutti. Le tenebre
aleggiano sopra la mia città.
Guardo i chiassosi locali inghiottire
le persone, centrifugarle e vomitarle per le strade buie. Centinaia
di ragazze mi osservano da dietro un vetro, mi sorridono, sono
bellissime. Ricambio il sorriso, ammaliato dalle vertiginose curve e
dalla profondità dei loro occhi azzurri, nei quali mi tuffo come in
un mare fresco e incontaminato.
Sono euforico. Attorno a me le tenebre
continuano ad avvolgere la città e i suoi figli, ma non mi importa.
Voglio vivere la mia Sodoma, voglio possedere la mia Gomorra.
Arrivo in una grande piazza, gremita di
persone che si abbracciano, si baciano, si muovono al ritmo di
magnifiche note musicali.
Un gruppo di ragazzi, maschi e femmine,
miei simili, gente come me, mi prende per mano, ci riconosciamo tra
noi, ci vogliamo bene, ci facciamo compagnia, non ci lasciamo mai
soli.
Balliamo una musica dolce e inebriante.
Il cielo nero ora si illumina di
immensi lampi colorati, esplosivi e violenti. Ho paura.
Scappo e mi nascondo, ma la curiosità
è più forte e continuo a osservare, nascondendo la testa a ogni
boato.
Nella piazza scorrono fiumi di un
nettare divino, seguo il potente profumo che fuoriesce dalle bocche
delle bottiglie e delle persone.
Alzo lo sguardo verso un grande
palazzo, illuminato come la più splendida giornata di sole. Mi
augura di passare un anno di felicità. Solo uno mi chiedo io?
Una voce mi attira.
Passo dentro un vicolo buio, nero, dove
non riesco a vedere nemmeno il palmo delle mie mani.
Sbuco su una piccola piazza, chiusa tra
stretti vicoli i cui palazzi si innalzano sino al cielo, chiudendosi
su loro stessi, aumentando le tenebre.
Una grande chiesa dalla facciata
spartana si innalza di fronte a me. L'occhio del rosone pare volermi
ammonire, mi fissa grottescamente. Ho ancora paura.
Una voce imponente richiama la mia
attenzione. E' un giovane parroco il cui timbro vocale contrasta
apertamente con la sua stazza.
Lo osservo, lo fisso. Solo lui nel mio
raggio visivo, tutt'attorno le tenebre, il nero, il buio.
- Chi sei? Gli chiedo.
- Sono il tuo pastore. Mi risponde.
- Non ho bisogno di te, è la notte la mia guida.
- La notte è la tua piaga, chi sei tu, figliolo?
- Io sono me stesso.
- Chi è te stesso?
- E' la persona che vedi.
- Non vedo nessuna persona.
Non so rispondere. Grido. Io sono me
stesso, perchè lui non lo vede? Non vede il mio corpo, i miei occhi,
le mie gambe, i miei capelli, la mia pelle, il mio sudore, le mie
emozioni, i miei sentimenti?
- Perché non mi vedi? Gli grido.
- Io ti vedo, tu vedi te stesso? Mi risponde.
- E' la notte che vede me.
- Sono le tenebre che ti vedono, che ti vogliono, che ti avvolgono, che ti rubano. Io sono qui, posso guidarti fuori.
- Sono i miei occhi che mi guideranno, sono le luci di questa città. E poi arriverà l'alba, il sole, la luce e saremo tutti liberi.
Ci fissiamo per interminabili minuti,
il suo sguardo è triste ma forte. Mi ammonisce ma mi accoglie allo
stesso tempo. Le sue labbra si muovono e le seguo incantato.
- Figliolo, questa città non vedrà più la luce. La tua gente non vedrà più il sole.
Grido forte, mi colpisco la testa,
piango.
Riprendo a correre ma nuovamente, come
nei peggiori incubi, sento le gambe mancare, cado.
Mi pongo supino. Rido e piango allo
stesso tempo. Ora ho capito.
- Ti è piaciuto il viaggio?
E' il parroco. Il suo viso si pone tra
i miei occhi e il cielo nero.
- Ti è piaciuto? Mi ripete.
Rido sempre di più, mentre una lacrima
solca il mio viso. Ora ho capito.
- Si, mi è piaciuto tanto.
- Sicuro che non dimentichi nulla?
- I primogeniti.
Smetto di ridere, ma il sorriso non
abbandona il mio viso. Sento la mia testa posarsi su un cuscino di
dolci sogni e soffici pensieri che mi alleviano i dolori dell'anima.
Penso a mio padre, a mia madre e ai
fratelli che non ho mai avuto....Bang!
Epilogo
All'ingresso di un vicolo buio del
centro storico, un poliziotto stende i nastri gialli da muro a muro,
mentre due paramedici cercano di rianimare un giovane ragazzo,
sdraiato tra i cassonetti.
Ha gli occhi chiusi, il sorriso sulle
labbra, la maglietta strappata.
Su entrambe le braccia la firma della
sua sorte, indelebile, impressa come un marchio a fuoco.
- E' morto. Ora del decesso, mezzanotte e cinquantanove.
- Be, almeno ha vissuto abbastanza per vedere l'anno nuovo.
- Già. Buon 2013 figliolo. Portiamolo via ora.
Il giovane parroco sosta
all'ingresso del vicolo, osservando con sguardo rammaricato la scena.
- Gli ha dato lei quella bibbia, padre? Chiese, avvicinandosi, il poliziotto.
- Si. Ho pensato che la fede l'avrebbe aiutato a resistere sino al vostro arrivo. In fondo, portava pure lui un crocefisso al collo.
- Padre, purtroppo la fede, da sola, non basta per abbattere questa piaga. La notte arriverà sempre, ciclicamente, assieme a ciò che porta via i ragazzi lasciati crescere soli, con essa.
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